lunedì 8 dicembre 2008

Quando la violenza è politica

Fin dal primo lancio sui blog twitter delle notizie sugli scontri in Grecia tra giovani e forze dell'ordine, mi sono messo spasmodicamente alla ricerca di fonti per l'approfondimento. Ma a dir poco desolante è stato il quadro fornito dai media istituzionali che hanno riportato molto debolmente la notizia, non aplificandola. I TG Rai della sera di ieri addirittura, pur essendo molto acchiappanti le immagini diffuse sul web, proprio non passavano la notizia. Perchè?
Illuminante oggi l'analisi di Sandro Viola su Repubblica che apre identificando gli scontri come "la prima reazione violenta verificatasi in occidente a causa della crisi economico-finanziaria e delle misure restrittive adottate dai vari governi."
Un silenzio organizzato quindi...
Sembra proprio che si tema che un'eccessiva esposizione mediatica possa dar fuoco alle polveri.
Ma di per sè che "ci scappi il morto" è un'ipotesi ampiamente messa in conto sia da chi agita la folla, sia da chi la deve, per professione, contenere. Chi ha avuto occasione di respirare il fumo dei lacrimogeni sa che la piazza è una forza tremenda, incontenibile a volte. Si vivono quei momenti al rallentatore, ogni secondo sembra eterno, il cuore batte all'impazzata e, come in un sogno, la calma dentro è incredibile e assoluta.
Proprio perchè previsto non è quindi la morte di Andreas Grigoropoulos l'evento scatenante dei disordini, ne è però la scintilla, lo squillo di tromba. Quello che invece agita le masse (e che intimorisce i governi) è invece l'apparente mancanza di una via di uscita. E proprio come la folla in piazza deve essere caricata verso un luogo ampio affinchè possa disperdersi affinchè lo scontro non diventi duro (e ci scappi poi il morto), anche i giovani hanno bisogno di qualcosa in cui credere per non perdere la speranza e non cedere alla logica della violenza.

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